L’idea di riconsegnare Il grande fratello nella sua versione originale, non-VIP, a Barbara-Nostra Signora degli Ascolti Mediaset-D’Urso, ha una sua onestà di fondo: Carmelita ha condotto le edizioni del successo (dopo le velleità psico-sociali della Bignardi), ma soprattutto da sempre garantisce le operazioni di sostegno e discorso nel day time. Con i suoi pomeriggi e le sue domeniche forniva carburante quotidiano per alimentare l’interesse (sempre più scarso) per la prima serata settimanale: affidare alla stessa mano la gestione dell’intero processo (un flusso ininterrotto di parole, lacrime e orgasmi televisivi, spalmato sul palinsesto) ha un indiscusso valore economico-editoriale (economia di scala, riduzione dei costi produttivi), che allineava Mediaset Italia sul modello spagnolo (quelli che con Supervivientes, alias L’isola dei famosi, fanno più di 30 ore settimanali), da sempre più redditizio della versione originale. Qualcosa però è un po’ sfuggita di mano: l’evoluzione verso il reality dating show ha raggiunto il parossismo. I concorrenti vengono presentati verbalmente come cavalli alla fiera (“un corpo da sballo”, “una bella bocca”), accompagnati visivamente da una regia macellaia (dal buio emergono culi, gambe, spalle, bicipiti, colli), ribaditi dagli altri partecipanti come pezzi anatomici (“ha dei bei denti…”). Non esiste possibile racconto della loro interazione che esuli dall’accoppiamento: sono maschi e femmine, prede e cacciatori, concupiti e concupiscenti. Madamina, il catalogo è questo (di youporn): cougar massaggiate sul lettino dalle mani di “tre boni” che si conquistano l’entrata umidamente, trans-trans-gender che discettano di labbra con amazzoni, nani ipertrofici che mirano alla blondie e mandano sms piccanti alle suddette cougar, giganti ipo-sillabici, lesbiche (VIP) rinnegate, black queer, threesome, gang bang. È partito bene (non benissimo). Crescerà.
